Il marginalismo

Il marginalismo è una corrente del pensiero economico di fine Ottocento. Si è sviluppata nel periodo 1870-1890 ed è conosciuta anche come rivoluzione marginalista.

I marginalisti usano la teoria dell'utilità marginale per spiegare i fenomeni economici. In particolar modo, la formazione dei prezzi e lo scambio delle merci sul mercato.

La rivoluzione marginalista

La teoria marginalista viene fondata contemporaneamente da tre autori:

  1. William Stanley Jevons
  2. Carl Menger
  3. Léon Walras

I tre autori lavorano al marginalismo in modo indipendente l'uno dagli altri. Tra il 1871 e il 1874 pubblicano teorie abbastanza simili, basate sul concetto di utilità marginale.

Nello studio dei fenomeni economici gli economisti marginalisti seguono il metodo deduttivo e si avvalgono del linguaggio matematico, in particolar modo del calcolo infinitesimale.

I loro lavori passano inosservati oppure sono duramente criticata dagli economisti contemporanei e ortodossi, ancora legati ai dettami della scuola classica dell'economia.

Ciò nonostante, le teorie di Jevons, Menger e Walras contribuiscono a formare le fondamenta del marginalismo e della futura scuola neoclassica.

Sulle loro opere si forma la nuova generazione di economisti di fine Ottocento.

I marginalisti abbandonano la teoria valore-lavoro dei classici, sostituendola con una teoria del valore basata sull'utilità marginale.

L'origine del valore è l'utilità marginale.

il marginalismo sviluppa una nuova teoria del valore soggettiva basata sull'utilità marginale

Nota. Il concetto di utilità marginale è già ben noto e sviluppato alla fine del XIX secolo. Basti citare gli studi di Jules Dupuit e Hermann Heinrich Gossen. Tuttavia, la vera novità della rivoluzione marginalista è l'utilizzo dell'utilità marginale per spiegare i fenomeni economici.

I marginalisti riprendono il concetto di valore-utilità dall'utilitarismo di Bentham e lo affiancano con nuove ipotesi teoriche:

  1. Utilità marginale decrescente. L'utilità marginale si riduce con le quantità consumate del bene, perché il bisogno viene progressivamente soddisfatto.
  2. Il riduzionismo individualista. I marginalisti spostano l'attenzione dagli aggregati sociali classici ( lavoratori, capitalisti ) ai singoli individui e soggetti economici ( consumatore, impresa ). Ogni individuo ha preferenze e valori propri, segue finalità differenti e non assimilabili a un gruppo sociale o politico di riferimento. Si passa così dall'oggettività alla soggettività delle scelte individuali.

    Nota. Il riduzionismo individualista svincola le scelte economiche dai fenomeni sociali ( relazioni sociali, società, costumi, classi sociali, ecc. ). Questo conferisce allo studio dell'economia un carattere più scientifico, generale e universale.

  3. La razionalità perfetta. Secondo i marginalisti, un individuo prende decisioni razionali per soddisfare i propri bisogni e per massimizzare la propria utilità. Le decisioni individuali determinano la domanda di mercato.
  4. Il principio di sostituzione. I marginalisti neoclassici confrontano le scelte alternative, variando la proporzione dei beni anche di piccole unità, per studiare la decisione del consumatore o del produttore. Tutti i beni sono considerati sostituibili tra loro.

In questo modo fondano un nuovo approccio all'utilitarismo.

Nota. L'ipotesi delle scelte razionali di un individuo è l'elemento rivoluzionario dei marginalisti. Si distingue da qualsiasi altra teoria utilitaristica del passato.

Una nuova teoria soggettiva del valore

Con il marginalismo si passa dalla teoria oggettiva della scuola classica ( valore-lavoro ) a una nuova teoria soggettiva del valore.

Secondo i marginalisti il valore dei beni non è indipendente dalle scelte individuali.

Un bene economico ( oggetto ) ha valore soltanto se è desiderato da una persona ( soggetto ).

I marginalisti spostano l'attenzione dalle condizioni della produzione a quelle della domanda e del consumo.

Nota. Questo aspetto è già presente da diversi precursori del marginalismo. Nella metà del XIX secolo John Stuart Mill sposta l'analisi dall'offerta alla domanda. Tuttavia, nei precursori dei marginalisti manca qualsiasi accenno all'utilità marginale.

Inoltre, l'agente economico viene analizzato come soggetto individuale ( consumatore, impresa ).

Ogni persona raggiunge fini individuali, diversi da quelli delle altre persone. Non esistono finalità collettive.

la scuola marginalista concentra l'analisi sull'individuo

Scompare la vecchia classificazione delle classi sociali ( lavoratori, capitalisti, proprietari terrieri ) della scuola classica e della scuola marxista.

Nei marginalisti prevale l'analisi microeconomica su quella macroeconomica.

La scuola neoclassica dell'economia

Sugli insegnamenti di Jevons, Menger e Walras si formano gli economisti agli inizi del XX secolo.

I marginalisti della seconda generazione contribuiscono a sistemare il marginalismo in una nuova teoria economica organica, detta scuola neoclassica.

I principali economisti neoclassici ( marginalisti della seconda generazione ) sono i seguenti:

  1. Alfred Marshall
  2. Vilfredo Pareto
  3. E. Bohm-Bawerk
  4. F. von Wieser
  5. J.B. Clark

La differenza tra la scuola classica e neoclassica

La scuola classica e neoclassica sono completamente diverse tra loro.

Si tratta di due teorie economiche differenti. Non c'è una continuità teorica.

Spesso sono gli stessi economisti marginalisti a marcare la differenza dai classici.

Al punto da sostituire il termine "political economy" ( economia politica ) con "economics" ( scienza economica ) per eliminare ogni richiamo alla politica.

Nota. In realtà, i marginalisti prendono le distanze soprattutto dai "classici" definiti da Marx ma continuano nella linea di studio degli economisti che Marx definisce "volgari". In particolar modo, i marginalisti abbandonano la scuola classica ricardiana perché è usata da Karl Marx per dimostrare lo sfruttamento e sostenere il socialismo. Piuttosto che correggere la teoria ricardiana, i marginalisti preferiscono elaborare una nuova teoria economica.
la critica dei marginalisti al socialismo

Tuttavia, la scuola classica e neoclassica hanno anche elementi e caratteristiche comuni.

Sia i classici che i neoclassici interpretano i fenomeni economici con il metodo scientifico, astraendo dalla storia e dalle istituzioni e dall'ambiente, tramite leggi generali e universali.

Nota. In realtà, i classici sono particolarmente legati al sistema di produzione capitalistico. Pertanto, il loro approccio non è prettamente astorico perché viene costruito durante l'espansione del capitalismo in Inghilterra e in Europa.

Inoltre, entrambe le scuole sono liberiste, favorevoli al capitalismo e al liberismo economico.

Per questa ragione la scuola marginalista di seconda generazione è conosciuta come scuola neoclassica.

I neoclassici non hanno l'interesse dei classici per lo sviluppo economico di lungo periodo.

Perché i marginalisti non si dedicano allo sviluppo? Le economia più avanzate hanno superato la fase del decollo economico. Ciò che ora interessa ai paesi capitalistici è l'efficienza allocativa delle risorse e la competività.

L'analisi dei neoclassici marginalisti verte soprattutto sull'equilibrio statico di breve termine e l'allocazione ottima ed efficiente delle risorse scarse fra usi alternativi ( cd efficienza allocativa ).

Tra classici e marginalisti c'è una profonda differenza anche nella teoria della distribuzione.

La distribuzione del reddito dei marginalisti

A differenza degli economisti classici, i marginalisti non danno importanza alla distribuzione del reddito.

Nella teoria marginalista ogni fattore produttivo riceve una quota del prodotto in base alla sua produttività marginale.

Nota. Per i marginalisti tutti i fattori sono posti sullo stesso piano. A differenza dei classici e di Ricardo, nella teoria marginalista non c'è una spiegazione ad hoc per spiegare la remunerazione di ciascun fattore ( terra, lavoro, capitale ).

Nella teoria neoclassica la distribuzione è soltanto un problema di efficienza allocativa delle risorse nella determinazione dei prezzi di equilibrio.

I problemi distributivi sono affrontati nella teoria del valore.

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  1. La scuola neoclassica
  2. La rivoluzione marginalista
  3. L'individualismo metodologico

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