Utilitarismo

L'utilitarismo è una scuola di pensiero economico e filosofico-morale. Si sviluppa all'inizio del XIX secolo con Jeremy Bentham. La scuola utilitarista pone l'individuo al centro dell'analisi economico. Secondo gli utilitaristi, ogni fenomeno economico deriva dalla tendenza di ogni persone a massimizzare la propria utilità individuale.

Nel corso del '800 la teoria utilitarista viene perfezionata da J.S. Mill e si afferma definitivamente tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo con le fondamenta della scuola marginalista neoclassica ad opera di W.S. Jevons, K. Menger e L. Walras. Oltre a essere una scuola del pensiero economico, l'utilitarismo influenza anche lo studio della filosofia, della politica e del diritto.

L'individualismo metodologico

A differenza della scuola fisiocratica e della scuola classica, nella teoria utilitarista i fenomeni economici sono determinati dal comportamento individuale dei soggetti economici.

L'equilibrio economico non è dipeso dalla diversa condotta delle classi sociali, come sostengono i classici, poiché tutte le persone sono accomunate dallo stesso comportamento e lo stesso fine.

L'individualismo metodologico degli utilitaristi ha molti tratti in comune con quello di Adam Smith.

La teoria utilitarista di Bentham

La scuola di pensiero utilitarista nasce nel 1780 con la pubblicazione dell'opera "Introduzione ai principi della morale e della legislazione" del filosofo inglese Jeremy Bentham.

Secondo Bentham, ogni persona adotta il comportamento che massimizza la sua utilità personale e riduce le sue pene e sacrifici.

Le persone considerano solo l'interesse individuale, non quello sociale o della classe di appartenenza. Ne consegue che tutti i fenomeni economici hanno come fattore determinante il comportamento umano.

L'utilità come entità misurabile

Bentham considera l'utilità individuale come una grandezza oggettiva, omogenea e quantificabile. Secondo il filosofo inglese, l'utilità di una persona può essere misurata.

Inoltre, la somma delle utilità individuali delle persone eguaglia l'utilità complessiva della società.

La giustificazione morale dell'egoismo

Sulla scia della filosofia morale del '700, nella teoria di Bentham il comportamento egoistico delle persone trova una giustificazione morale dal fatto che l'utilità sociale è la somma delle utilità individuali.

Se ciascun individuo della società massimizza la propria utilità individuale, allora anche l'utilità collettiva raggiunge il suo livello più alto possibile.

L'utilitarismo di J.S. Mill

Nel 1836 l'economista e filosofo inglese John Stuart Mill pubblica l'opera "Utilitarismo" per rielaborare la teoria utilitarista di Bentham sia dal punto di vista etico che metodologico.

Mill riprende il fondamento teorico dell'edonismo benthamiano, quello secondo cui il piacere è la causa determinante dell'agire umano, ma abbandona la concezione oggettiva dell'utilità ed elabora un importante tentativo di sintesi tra la teoria classica e l'utilitarismo.

Secondo Mill, l'utilità è una grandezza qualitativa. Il filosofo inglese critica l'idea dell'utilità come grandezza oggettiva e quantificabile, poiché non è possibile associare a un determinato livello di utilità un numero cardinale. L'utilità può essere soltanto confrontata in modo ordinale. Ad esempio la scelta A viene preferita alla scelta B.11

Mill introduce così il concetto delle preferenze, uno degli assi portanti della futura teoria economica marginalista neoclassica, di cui J.S. Mill è considerato un precursore.

Se le utilità individuali non possono essere sommate tra loro, non è nemmeno possibile calcolare l'utilità collettiva con una semplice somma delle utilità personali.

La critica all'egoismo e la ricerca della felicità

John Stuart Mill critica anche la teoria morale dell'egoismo. Il filosofo inglese osserva che anche alcuni comportamenti non egoistici possono produrre piacere. Ad esempio, i comportamenti altruistici generano piacere sia a chi li riceve che a chi li compie.

Questa riflessione lo spinge a modificare la teoria utilitarista, sostituendo il piacere con la felicità, un concetto molto più ampio che comprende sia l'egoismo che l'altruismo. Ogni persona ricerca la massima felicità per sé.

Mill esclude dall'analisi economica tutte le scelte umane non riconducibili alla logica della massimizzazione dell'utilità. È uno dei primi a formalizzare il concetto di homo oeconomicus.

La scuola marginalista neoclassica

Verso la fine del XIX secolo il pensiero utilitarista evolve nella scuola marginalista neoclassica.

Nella seconda metà del '800 la teoria classica vive un momento di decadenza. Nel 1848 gli economisti classici non riescono a prevedere una profonda depressione. Negli stessi anni si diffonde la critica marxiana alla società capitalistica tramite una teoria economica costruita sugli stessi presupposti teorici dell'economia classica.

Per uscire dall'impasse, gli stessi economisti classici tentano di ricostruire su basi differenti una nuova teoria economica a sostegno del capitalismo e del liberismo.

Nel 1871 Jevons pubblica il trattato "Teoria dell'economia politica". Nello stesso anno Menger scrive i "Fondamenti dell'economia politica". Tre anni dopo, nel 1874, è Leon Walras a pubblicare la sua opera "Elementi di economia politica pura".

Queste tre opere costruiscono la base teorica del marginalismo ( o scuola neoclassica ).

La scuola neoclassica marginalista riprende alcuni elementi portanti dell'utilitarismo, per svilupparli in un modello analitico-matematico più solido e coerente, tra i quali i seguenti:

  1. Individualismo metodologico. La realtà economica è determinata dai comportamenti individuali. Anche per gli economisti neoclassici i fenomeni economici sono il frutto dei comportamenti individuali.
  2. Massimizzazione dell'utilità individuale. Ogni persona prende le decisioni che gli consentono di massimizzare la sua utilità individuale. È l'unico comportamento umano rilevante nello studio dell'economia politica e l'unico in grado di spiegare la realtà economica.
  3. Utilità soggettiva. I neoclassici rigettano l'idea dell'utilità oggettiva di Bentham, per abbracciare quella più soggettiva di J.S. Mill. Secondo i neoclassici l'utilità ha origini soggettive ed è strettamente legata alla persona. La natura soggettiva e psicologica dell'utilità sposta l'attenzione dello studio economico dalla produzione allo scambio ( mercato ).

Uno dei concetti chiave della scuola neoclassica è l'utilità marginale decrescente, introdotta nel 1854 da H.H.Gossen, in base alla quale l'utilità individuale si riduce con l'aumentare della quantità consumate di un bene.

La tesi marginalista viene ulteriormente sviluppata nel 1890 con la pubblicazione dell'opera "Principi di economia politica" di Alfred Marshall, in cui l'autore indaga sugli equilibri parziali e sulla differenza tra equilibrio di breve e di lungo periodo.

Un altro contributo importante viene aggiunto nel 1906 da Pareto con la pubblicazione del "Manuale di economia politica". L'economista propone un approccio ordinalista delle utilità e l'abbandono definitivo di ogni tentativo di misurazione dell'utilità cardinale.

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