La politica economica nella teoria classica

La teoria classica dell'economia politica nasce nel XVIII secolo ed è costruita sul liberismo economico e sul libero scambio commerciale. La politica economica ha poca importanza.

Gli economisti classici sono convinti sostenitori della capacità del mercato di risolvere ogni problema allocativo e giungere al migliore equilibrio allocativo in modo naturale, senza alcun intervento da parte dello Stato.

Nella teoria classica l'intervento pubblico è limitato a poche situazioni ( Stato minimo ). Al policy maker spetta il compito di rimuovere tutti gli ostacoli al libero gioco delle forze di mercato. I governi non devono interferire con le leggi naturali del mercato.

La visione liberista della politica economica accomuna i principali esponenti della scuola classica.

Adam Smith

Il fondatore dell'economia classica, Adam Smith, considera il mercato concorrenziale come il miglior metodo allocativo delle risorse. Le forze di mercato conducono verso l'equilibrio economico migliore possibile, senza bisogno di alcun intervento pubblico.

Se il mercato conduce verso la situazione migliore, sia individuale che collettiva, ne consegue che lo Stato non debba intervenire in alcun modo in economia, per evitare di perturbare le azioni dei soggetti economici privati. Lo Stato deve essere neutrale e con poche funzioni ( Stato minimo ).

Secondo Adam Smith il compito dello Stato consiste nel rimuovere gli ostacoli alla libera concorrenza e nell'offerta dei beni pubblici, quelli che non potrebbero essere prodotti dai soggetti economici privati ( es. giustizia, difesa, opere pubbliche, strade, ecc. ).

Anche la finanza pubblica deve essere limitata al minimo, per non turbare la vita economica e non incidere troppo sui comportamenti dei soggetti privati. Il prelievo fiscale è determinato dall'imposta ottima.

David Ricardo

Secondo David Ricardo, uno dei principali economisti classici nel XIX secolo, l'obiettivo della politica economica è l'accumulazione di capitale e la massimizzazione della produzione.

Come Adam Smith anche Ricardo sostiene il libero scambio e l'intervento minimo dello Stato sulla vita economica. In particolar modo, Ricardo chiede la rimozione dei dazi sull'importazione del grano dall'estero. I dazi sono uno strumento di intervento pubblico dello Stato sulla vita economica nazionale.

I dazi sull'import di grano aumentano il prezzo dei beni alimentari, questo da un lato impoverisce la popolazione frenandone la crescita demografica ( offerta di lavoro salariato ), dall'altro redistribuisce la ricchezza a favore delle rendite dei proprietari terrieri.

Un costo elevato del lavoro salariato penalizza soprattutto gli imprenditori capitalisti, i quali avendo un minore profitto hanno meno risorse da destinare all'investimento per ampliare la produzione.

Eliminando i dazi, l'importazione del grano estero avrebbe spinto al ribasso i prezzi delle derrate aumentate, facendo aumentare la popolazione e ridurre il costo del salario minimo di sussistenza.

Questa nuova situazione penalizza le rendite dei proprietari terrieri e avvantaggia i capitalisti-imprenditori che possono trarre un maggiore profitto e, quindi, aumentare la capacità produttiva dei loro impianti.

Secondo la visione di David Ricardo, la classe sociale dei capitalisti è l'unica a produrre un risparmio, che l'economista identifica con il profitto, dal quale dipendono le possibilità di investimento e, infine, l'accumulazione di capitale della nazione.

I lavoratori salariati percepiscono un salario di sussistenza, quindi non hanno possibilità di risparmio. I proprietari terrieri hanno un elevato surplus ma lo destinano soprattutto al proprio consumo personale di beni di lusso e servizi.

Ne consegue che, secondo Ricardo, l'eliminazione dei dazi sull'import redistribuisce la ricchezza a favore dell'unica classe sociale da cui dipende l'accumulazione di capitale.

Nell'ambito della politica economica è rilevante anche un altro contributo di Ricardo, il principio di equivalenza tra imposte e debito pubblico nel finanziamento della spesa pubblica. Secondo Ricardo, i due metodi di acquisizione delle risorse sono da considerarsi equivalenti.

John Stuart Mill

John Stuart Mill è un'economista classico ma anche uno dei precursori della teoria neoclassica, per la sua innata capacità di mediare tra le diverse visioni teoriche.

Pur collocandosi sulla scia di Adam Smith, John Stuart Mill cerca di mitigare la fiducia cieca sulle possibilità del mercato di risolvere ogni situazione e sulla neutralità della finanza pubblica.

Secondo J.S. Mill, l'intervento pubblico dello Stato deve essere accolto se migliora le condizioni sociali della collettività anche se non è neutrale. In particolar modo, Mill ammette la possibilità dell'intervento pubblico nella sfera della distribuzione, al fine di raggiungere una distribuzione più equa della ricchezza.

Ad esempio, J.S.Mill propone un'imposizione fiscale basata sull'uguale sacrificio di tutti ( teoria del sacrificio uguale ) per minimizzare il sacrificio della collettività. Quando i contribuenti pagano le imposte devono percepire un sacrificio pari o proporzionale.

Questo implica un maggiore prelievo tributario a carico dei più abbienti, poiché l'utilità marginale della ricchezza è decrescente. Per provare un medesimo sacrificio i soggetti più ricchi devono pagare un carico tributario più elevato.

L'equa ripartizione del carico fiscale consente di ridurre indirettamente anche il sacrificio della collettività, portandolo al minimo sacrificio possibile.

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